DISTURBO DA ALIMENTAZIONE INCONTROLLATA

Psicologo Psicoterapeuta Tortona - Dr. Davide Milanese

Scopriremo che tutto è mutabile e che le abbuffate rappresentano un gesto che vuol essere magico per colmare il nostro sentirci tristi e arrabbiati, squalificati e incapaci. Ma non è una magia questa azione, è più un sortilegio che ci condanna a sentirci poi in colpa, quindi a costruire un’ ulteriore arma di distruzione contro noi stessi e ad avere ancora più vuoti.

La sensazione di fame è qualcosa di fisiologico e come tale deve essere soddisfatta, ma la paura o l’imbarazzo non devono accenderla. Occorre setacciare le emozioni che costituiscono la nostra identità e darle la giusta soddisfazione. Se ci sentiamo giù perché il nostro partner non ci da’ la giusta attenzione che sentiamo di meritare e ci squalifica intrattenendoci in abitudini di coppia che non ci fanno sentire amati, quello che è il da farsi è scoprire le emozioni relative al rapporto.

POSSIBILI FASI CHE RISCRIVEREMO

1 - Falsa consolazione

il corpo viene vissuto come qualcosa su cui riversare le proprie frustrazioni, il mezzo per lenirle per renderle meno forti, dolorose e vicine. Viene richiesto al corpo di riempire la tristezza e la frustrazione di non essere abbastanza.

Proprio per via del sovrappeso, il dover dimagrire, che è un simbolo illusorio dello stare bene con se stessi è una necessità e un obiettivo sempre presente ogni giorno. Questo polo di tensione, quando viene disatteso con le abbuffate, suscita sentimenti negativi, fra cui anche stati depressivi, e fa sì che l’incontro con gli altri e con gli ambiti della vita sia spesso vissuto con senso di inferiorità e incapacità.

2 - Nascondersi

un altro modo di utilizzo del corpo e delle emozioni è il sottrarsi alla vista del mondo. Avere un corpo non piacevole, ci sottrae dalla considerazione altrui. Per una donna l’avere un corpo poco attraente porta ad essere esclusa dall’attenzione altrui, in questo modo non si deve affrontare lo sguardo e le richieste e non si entra in possibili stati di frustrazione dati dal non essere abbastanza considerati, o scelti.

Il ridurre la caratterizzazione della propria identità sia interna, cioè delle proprie emozioni, desideri, che esterna, come appari al mondo, porta alla costruzione di un Io sempre più debole e non soddisfatto.

Quindi il corpo non viene incluso in un progetto di costruzione, di armonia e di risoluzione dei problemi della vita ma è il parafulmine per le cose che non sono possibili, che non accettiamo di noi.

3 - Vaneggiare

Fantasticare sul giorno in cui si sarà magri, un giorno fantomatico in cui succederà qualcosa di bello per cui riusciremo a superare tutti i nostri limiti, saremo felici e si affronteranno tutti gli aspetti difficili della vita. Aspetti della vita ai quali non si sa come far fronte, che si vorrebbe “che per magia” si risolvessero. Per questo motivo, spesso il provare le diete non è risolutivo ma, anzi, diventa un ulteriore sconfitta.

Ho visto persone meravigliose che si sono “nascoste” alla vita mangiando a dismisura per i motivi più diversi perché stavano in un rapporto che gli faceva del male, ad esempio non riuscivano ad aiutare il partner a smettere di bere, o perché non accettavano di non essere amati dal padre o dalla madre, perché non accettavano la propria femminilità o mascolinità. Nella maggior parte dei casi c’è una combinazione di motivi scatenanti lo stato di disagio, per lo più non conosciuti dalla persona, o meglio inconsci o scarsamente consci.

FASI RISCRITTE

1 - Analisi della realtà

Certo ingrassare influisce negativamente sulla propria autostima, però non è l’ambire a essere magri che porta la felicità, è lo stare bene con il proprio corpo, avvicinarlo a sé, sentirlo, trattarlo con cura ed attenzione che lo farà stare più in forma, portandolo a ridurre il peso.

Non è la magrezza che dà la serenità, è la serenità delle emozioni e poi la permanenza dei sentimenti di stabilità, sicurezza e valore su ciò che abbiamo e stiamo costruendo, che portano a un corpo più sano.

Ogni volta che si esperisce una frustrazione invece di mangiare si può impiegare il corpo in un altro modo, verso altre attività.

2 - Comprensione di chi si è, compassione per la propria imperfezione

L’eccesso di cibo è un mezzo e un elemento sbagliato per riempire qualcosa nel tuo corpo e nella tua identità. In realtà è un abitudine tossica, che ti rende più “mansueto e insofferente”. Solo l’accoglimento del dolore dato dal tuo vissuto, può consentirti di evitare il ricorso al cibo come modo di trattare la sofferenza, di conseguenza si necessita di:

  • ristrutturare la stima di sé e il valore personale capendo e accettando il dolore che ti ha portato a mangiare troppo;
  • non giudicarsi e accogliere che il processo che mettevi in atto non ti fa bene e soprattutto non è l’unico, e si può cambiare;
  • sentire quello che vuoi, e di cosa sei famelico in realtà, scoprirai che vuoi una relazione amorosa più soddisfacente, delle coccole che qualcuno che vorresti non ti da, o un senso di sicurezza da una persona che invece ti trasmette solo insicurezza e solitudine.
  • Occorre provare la sensazione di guardare se stessi con quell’attenzione priva di giudizio che conferisce energia nuova e di cui puoi beneficiare e che non ha nulla a che fare con il cibo. Quindi quando scopriremo quello che vuoi davvero, ci muoveremo per ottenerle e costruiremo tutto ciò che è necessario per sentirti e sentire una vita appagante. Inoltre in questo percorso acquisirai una forte consapevolezza per ciò che ti fa star male e a cui stare alla larga.

    Il proprio senso di capacità e di influire sul mondo in modo da ritagliarsene una piccola parte non dipende dal peso, ma da come affrontiamo le situazioni e le persone che ci procurano ansia e insoddisfazione.

3 - Responsabilità verso se stessi: azione e cambio delle abitudini

Il cibo deve occupare una parte inferiore di tempo nella tua vita sia nell’azione di mangiarlo, sia nell’azione mentale di pensarlo, quindi vanno cambiate certe abitudini.

Per questo tipo di problema la presa di coscienza della vitalità del corpo con tutte le parti che lo compongono, compresa la sensazione del sudore che per molti è fastidiosa perché magari non emana un buon odore o rompe il controllo di un corpo che vive molto poco. Invece il sudare ti da come un barometro dello sforzo fatto ed ha una funzione oltre che di termoregolazione di ricambio cellulare e di rigenerazione. Le sensazioni del proprio corpo diventano un esperienza che coinvolge di più, diventando i produttori di una conoscenza provata, vivida.

LO STARE MEGLIO NON PUÒ ESSERE COMPRATO

Ci vuole responsabilità, costanza, ma quello che si raggiunge non è solo una sensazione di piacere che finisce e che ti lascia lì più solo di prima, che ti riempie e poi immediatamente ti svuota. Occorre vivere le cose importanti, quello di cui siamo fatti, quello che ci fa davvero patire e star bene, abbracciando ed utilizzando il nostro corpo, considerandolo. È l’essenzialità che conta, ed è un percorso a passi lenti, non è un rincorrere sempre qualcosa. Concentrarsi su ogni momento dando la massima importanza a quello che ti riguarda è la vera serenità.

Come dice il collega Pietro Trabucchi: “il camminare e poi il correre rappresentano un possibile antidoto a questo stile di vita: recuperare attraverso il movimento il rapporto con un universo di sensazioni che dall’infanzia erano state smarrite. Ascoltare il movimento, sentire i muscoli e il respiro, percepire la fatica, concentrarsi sul ritmo del gesto. Tutto questo ci riporta in contatto con il corpo e con la realtà che ci circonda”.

“Alcune nostre abitudini ci fanno stare male, ma non sappiamo come cambiare o non ce ne accorgiamo e questo ci fa stare alla larga da ciò che ci fa stare bene”. “Per farci del bene dobbiamo sentirlo, conoscerlo e provarlo e spesso cambiare il vecchio”.

Si possono associare abitudini come fare la cyclette davanti alla televisione prima di cenare o come fare una passeggiata fuori casa appena senti “l’ordine interno” di abbuffarti perché il tuo capo ti ha umiliato o non hai avuto l’affetto di cui sentivi il bisogno da tua madre, e farle diventare una parte forgiata di nuove emozioni della nostra nuova identità.

Queste nuove azioni, fanno entrare anche uno spazio mentale inaspettato, questo ti permette di sentire le tue nuove emozioni, mentre farai una passeggiata e sentirai il tuo corpo in movimento, sentirai che la polarizzazione di te stesso dal cibo si riduce.

Dare importanza a te è costruirti, togliere il muro di imbarazzo che non ti permette di uscire dal tuo bozzolo è l’inizio del cammino.

CRITERI DIAGNOSTICI

Nel 2013 l’Associazione degli Psichiatri Americani (APA) ha riconosciuto al Disturbo da Alimentazione Incontrollata (in sigla: BED, dal nome inglese, Binge Eating Disorder) una categoria diagnostica a sè, data l’importanza e la diffusione di questa forma di disagio. Infatti nell’ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5)*, ad opera della stessa APA, il BED viene presentato nei seguenti termini.

Ricorrenti episodi di abbuffata. Un episodio di abbuffata è caratterizzato da entrambi i seguenti aspetti:
Gli episodi di abbuffata sono associati con tre (o più) dei seguenti aspetti:
Le abbuffate non sono associate all’uso ricorrente dei comportamenti compensatori inappropriati...

*American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition (DSM-5) [tr. it. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quinta edizione (DSM-5) (pp.405-406). Milano: Raffaello Cortina Editore, 2014]. Arlington: American Psychiatric Publishing.


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